giovedì 2 luglio 2009

Hic et nunc

Esiste un momento come vuoto dimensionale, nulla parmenideo da colmare. Il concetto di vuoto per fortuna é abbastanza piccolo in media. Si riempie con la prima cosa che passa di volta in volta. É altrettanto labile quanto perdersi dietro un pensiero fuori luogo durante una dissertazione. Modo e modo di perdere la concentrazione, la mente, quella parte razionale, dietro la parte più illogica di noi stessi e del mondo.
Pensare dopo poco tempo, riflettere su più concetti e darsi da fare per risolverli tutti sono un modus operandi del nostro conscio che delinea progetti, ci rende pazzi furiosi delle cose.
La follia della razionalità dei pensieri si trasmuta in concept di progetti, un termine elegante per non affermare i difetti di irrisolte questioni che continuano a tormentare il nostro progetto. Un concept, dunque, non sembra altro che un embrione di progetto che sa in generale come nascerà ma non si vede subito: cresce. Nel suo aumentare di solidità, durante lo sviluppo, trae dal progettista la linfa di producibilità, riproducibilità, unicità, serialità e emozionalità.
Di fatto da concept non si nasce ma esistono cose che ne stimolano la procreazione. Si potrebbe dire che la mente dei designer sia sempre fertile e attiva mentre per dare al mondo i propri progetti serve la sostanza industriale o altro.
Quest'ultima parte é un dilemma.
Per mettere in moto il design su binari della realtà serve che ci sia una stazione di partenza sicura. Un target di mercato ricettivo certo.
Non si tratta solo quindi di design come di progetto di cose ma design con un fine tangibile, sia esso un oggetto fisico o una sensazione.
Qualcuno deve riceverlo. Non esiste cosa che non abbia utenza, diretta o indiretta.
Oggetti fine a sè stessi a quanto si possa notare o ricordare non esistono. Anche l'universo che non é di nostro design ci dona qualcosa, la sensazione di qualcosa più grande o di non essere soli o altre idee sulla paranoia umana.
Una riflessione di design va oltre sempre l'hic et nunc e ogni progetto ce lo dimostra.

1 commento:

Lanfranco ha detto...

Il numero dei designer cresce sempre di pi... Visualizza altroù, come i loro progetti. E' sempre più difficile giustificare il progetto ed il significato che hanno portato il designer alla creazione dell'oggetto. E così molto spesso si compensa, la mancanza di funzionalità e reale utilizzo, con il "concetto". Il risultato è la sovrabbondanza di oggetti portatori di messaggi, logiche e punti di vista. Il valore merceologico deriva sempre più dalla creazione di valore simbolico, l'oggetto è un buon oggetto se ha un buon contenuto intrinseco. Forse l'unico modo per restituire al termine DESIGN il suo vero significato, sta nella creazione di Atelier in cui sperimentare il modello della "Bottega 2.0", basato su ricerche di lavoro innovative, ma ispirate ad logica più riflessiva, in cui ci sia una libera trasmissione e condivisione del sapere, anche tra Atelier e Atelier. E soprattutto sulla rivalutazione del “handmade” e dei rapporti collaborativi. Bisogna solo trovare il modo di farle nascere e sopravvivere..